La peste nera ha influenzato il corso dell’evoluzione umana, lasciando segni indelebili nel nostro DNA.
La pandemia di peste nera, causata dal batterio Yersinia pestis, si diffuse in Europa, Medio Oriente e Nord Africa dal 1346 al 1350 e provocò la morte di quasi la metà della popolazione dell’epoca.
Secondo uno studio pubblicato su Nature, la pandemia di peste avrebbe favorito l’espressione di alcune varianti nei geni del sistema immunitario, in particolare di quattro piccole alterazioni che diventarono molto più comuni dopo la piaga, perché collegate a una maggiore probabilità di sopravvivenza. Oggi due delle varianti sono legate a un rischio aumentato di malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn e l’artrite reumatoide.
Il genetista Dr Luis Barreiro, dell’Università di Chicago, coautore dello studio, partendo dall’ipotesi che un evento catastrofico come la peste nera possa aver lasciato tracce nell’evoluzione del sistema immunitario umano, ha analizzato oltre 200 campioni di DNA estratti dalle ossa e dai denti di persone morte prima, durante e due generazioni dopo la peste nera, focalizzandosi sui geni legati all’immunità.
È emerso che quattro varianti risultano più comuni nei sopravvissuti all’infezione di peste. Una di queste varianti altera l’espressione di un gene chiamato ERAP2, che codifica una proteina capace di sminuzzare le proteine batteriche e di esporle sulla superficie dei macrofagi, in modo da allertare il resto del nostro sistema difensivo. Una sorta di sirena d’allarme che segnala la presenza di un’infezione.
Secondo gli scienziati, la presenza di questa variante avrebbe garantito il 40% di probabilità in più di sopravvivere all’infezione.
Tali varianti, che hanno garantito durante la pandemia del Trecento e nei secoli successivi una protezione maggiore contro la peste, oggi hanno un impatto sulla sensibilità a malattie autoimmuni.
È come se il sistema immunitario fosse rimasto ipervigile e ciò non è sempre vantaggioso. La stessa variante del gene ERAP2, che protegge dalla peste, è nota per favorire una patologia infiammatoria cronica intestinale, la malattia di Crohn, mentre una seconda delle varianti studiate è legata a un maggiore rischio di artrite reumatoide, un altro tipo di malattia autoimmune.
Lo studio pubblicato su Nature è il primo studio clinico che mostra come una pandemia possa segretamente modificare il genoma della popolazione, esercitando una forte pressione selettiva.
Molto probabilmente, in futuro, si potrà scoprire qualcosa di analogo per la pandemia da Covid-19.
Autore:
Redazione
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